Generazione Z: una generazione orfana nell’era della velocità digitale

Generazione Z: una generazione orfana nell’era della velocità digitale

Viviamo un’epoca in cui, paradossalmente, i giovani hanno accesso a tutto, ma si sentono spesso emotivamente soli. La Generazione Z – i nati tra il 1997 e il 2012 – è immersa in un contesto iperconnesso, rapido, instabile e complesso. Una generazione che comunica a gesti, immagini e velocità, mentre spesso i genitori restano ancorati a un linguaggio più lineare, fatto di parole, contesti stabili e rapporti di tipo verticale.

Il titolo “generazione orfana” non si riferisce alla mancanza fisica dei genitori, ma a un’assenza culturale, emotiva e relazionale. È un tipo di orfanezza nuova, non visibile a occhio nudo, ma evidente nei silenzi delle stanze, nei pranzi muti, nei messaggi letti e mai risposti.


1. Il divario culturale: due alfabeti differenti

Molti adulti che oggi crescono figli appartenenti alla Gen Z si ritrovano impreparati. Non per mancanza d’amore, ma per impossibilità di comprendere pienamente il mondo digitale, i suoi codici e i suoi ritmi.

La Gen Z è nativa digitale: cresce tra algoritmi, emoji, app, video da 15 secondi e stimoli continui. I genitori, al contrario, sono migranti digitali, spesso faticano a interpretare il significato sociale e relazionale di TikTok, Instagram, Discord, Twitch.

Come osserva R. Bernardi in Linguaggi generazionali (Raffaello Editore, 2019):
“Tra padri e figli si apre oggi una frattura linguistica: non è più solo la parola a veicolare il pensiero, ma l’immagine, la velocità, la simultaneità. Il genitore parla, il figlio scorre.”

Questo scarto generazionale non è solo tecnologico, ma psicologico e sociale: i ragazzi vivono una realtà in cui identità, relazioni e affetti si costruiscono anche (e spesso soprattutto) online, cosa che il genitore fatica a comprendere o a legittimare.


2. Le fragilità economiche dei genitori e l’incertezza educativa

Molti genitori della Gen Z appartengono alla generazione X o ai primi Millennial, spesso segnati da crisi economiche ripetute, instabilità lavorativa e sfiducia nelle istituzioni. In molti casi hanno perso quel ruolo di “modello stabile” su cui si poggiava l’identità dell’adulto.

Il lavoro precario, l’aumento del costo della vita, l’assenza di reti di supporto reali, rendono difficile per tanti adulti gestire le emozioni, le esigenze educative e psicologiche dei figli.

Come evidenziato da L. Fontana in Genitori in bilico (Laterza, 2020):
“I genitori si ritrovano oggi senza coordinate. Il ‘fare i genitori’ si riduce spesso a ‘contenere danni’, piuttosto che a trasmettere significati.”

Il disagio non è solo economico, ma identitario: come può un adulto che vive lui stesso insicurezze profonde, guidare un adolescente in cerca di senso, valori e appartenenza?


3. Colloquio psicologico: la distanza invisibile

Durante un colloquio psicologico familiare, emerge spesso la frustrazione dei genitori, che non capiscono perché il figlio “non parli”, “si chiuda”, “si isoli”.
Il terapeuta si trova a decifrare due linguaggi completamente diversi: il linguaggio emotivo del ragazzo, spesso espresso con silenzi, posture o immagini online, e quello logico e verbale del genitore.

Un esempio ricorrente:

Madre: “Non mi dice mai niente.”
Figlio: (sposta lo sguardo, fissa il cellulare, sorride leggermente a un messaggio).
Psicologo: “Cosa stai comunicando in questo momento?”
Ragazzo: “Che non ho bisogno di parlarne a voce. Tanto lei non capirebbe.”

Non si tratta di opposizione, ma di difesa. La comunicazione è spezzata non dalla mancanza di volontà, ma dalla mancanza di strumenti comuni.


4. Note filosofiche e sociali: l’identità frammentata

Il filosofo Zygmunt Bauman parlava di “modernità liquida”, dove tutto è instabile, relazioni comprese (Bauman, Modernità liquida, Laterza, 2003). In questo scenario, la Gen Z cerca ancore di senso, ma trova spesso adulti in crisi, valori sfumati e regole che cambiano di continuo.

Il problema è che molti adulti reagiscono con controllo, oppure con ritiro, mentre i figli chiedono presenza consapevole, non giudizio.


5. Conclusione: serve una nuova alleanza

Per colmare il vuoto tra genitori e figli, non servono solo corsi di educazione digitale. Serve un cambio di postura educativa: meno direttività, più ascolto; meno “insegnare”, più “apprendere insieme”.

Un genitore non deve sapere tutto, ma può diventare guida proprio quando ammette di non capire, ma si mette in cammino con il figlio per imparare.

La generazione Z non ha bisogno di genitori perfetti, ma di adulti presenti, coerenti e umili. Solo così l’orfanezza relazionale può diventare una nuova forma di famiglia: non gerarchica, ma dialogica.

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