Smetti di nutrire il mostro dentro: solo così perderai peso davvero
Mangiare, per molti, non è più soltanto nutrirsi. È un gesto carico di significati nascosti, un anestetico quotidiano, una piccola sedazione personale. Ogni morso, ogni spuntino fuori pasto, ogni dolce improvviso nel cuore della giornata è una risposta silenziosa a un disagio che non sappiamo nominare.
La verità è che il cibo – soprattutto quello ricco di zuccheri e grassi – attiva nel cervello un rilascio di dopamina, la stessa sostanza coinvolta nei meccanismi della gratificazione. È come se, per un momento, tutto si spegnesse: la stanchezza, la tristezza, il vuoto, il senso di frustrazione. Mangiare diventa così un modo per non sentire.
Cibo e dopamina: quando il conforto diventa dipendenza
Il problema nasce quando questo sollievo temporaneo si trasforma in un’abitudine. Più lo facciamo, più ne abbiamo bisogno. Come ogni dipendenza, anche quella dal cibo nasce da una compensazione e cresce su un terreno di insoddisfazione. Gli zuccheri, in particolare, diventano la droga economica ed accessibile che molti scelgono per sopravvivere ai propri disagi interiori.
Non serve cadere nell’eccesso per accorgersene: basta osservare la frequenza con cui il cibo viene cercato nei momenti di nervosismo, noia, stress o malinconia. Spesso non è fame, ma fuga.
Che cosa stiamo addormentando?
Ed è qui che inizia il vero lavoro: capire cosa stiamo cercando di zittire. Perché ci sono emozioni che fanno male, che non abbiamo mai imparato a gestire. Sentimenti che si sono accumulati negli anni e che abbiamo semplicemente sepolto sotto una coperta di zuccheri e comfort food.
Il colloquio psicologico non è una confessione, non è un giudizio. È uno spazio dove, lentamente, si inizia a riconoscere il meccanismo invisibile che guida le scelte, anche quelle alimentari. Parlando, si porta alla luce ciò che prima si nascondeva nel buio. E spesso, quel buio ha le sembianze di un mostro affamato che ci vive dentro, e che sfamiamo ogni volta che scegliamo il cibo al posto della verità.
Fiabazione: le favole che ci raccontiamo
Molti vivono per anni in quella che la psicologia chiama fiabazione: una narrazione interna che serve a sopravvivere, ma che alla lunga ci allontana dalla realtà. Sono le frasi che ci ripetiamo per giustificare ogni ricaduta:
“È solo un biscotto, me lo merito”,
“Dopo questa settimana riprendo la dieta”,
“Con tutto quello che ho passato, almeno questo me lo concedo…”
Sono favole moderne, create per anestetizzare un dolore che non vogliamo ascoltare. Ma mentre ci raccontiamo queste storie, il mostro si nutre, e noi perdiamo contatto con ciò che siamo davvero.
Il colloquio: uno specchio sincero
Parlare con qualcuno, in uno spazio sicuro e non giudicante, è come accendere una luce in quella stanza interna dove il mostro si nasconde. Non per combatterlo, ma per riconoscerlo, per capirne la fame e la voce.
A volte basta una domanda ben posta per svelare cosa stiamo cercando nel fondo di quel pacco di biscotti o nel frigorifero aperto a mezzanotte. A volte, quel “vuoto” non è fame, ma bisogno di essere ascoltati, visti, compresi.
Il cambiamento non inizia con la dieta. Inizia con una presa di coscienza. Inizia quando smettiamo di raccontarci favole e iniziamo a raccontarci la verità.
Il peso che si perde comincia da quello che si porta dentro
Dimagrire davvero, in modo profondo e duraturo, non è solo questione di calorie. È questione di consapevolezza.
Finché non riconosciamo quale dolore stiamo compensando, continueremo a sostituirlo con altro. Prima il cibo, poi una relazione sbagliata, poi l’ipercontrollo, poi di nuovo il cibo.
Solo quando iniziamo a guardarci dentro con onestà – magari con l’aiuto di uno psicologo – quel bisogno si scioglie. Il mostro smette di urlare. E il corpo, finalmente, può lasciar andare ciò che non serve più. Dott. Riccardo Rosati – Psicologo – Roma